Nuove strategie e competenze per gli operatori sportivi
Il 19 febbraio si è svolto, presso la sala dei Presidenti del CONI, l’incontro promosso da Sportivi per Roma, in collaborazione con OPES, dal titolo Nuove strategie e competenze per gli operatori sportivi.
I relatori hanno parlato dell’importanza delle competenze psicopedagogiche dell’istruttore sportivo, necessarie ad instaurare una relazione con l’atleta che possa portarlo ad esprimere al meglio sé stesso, non solo per migliorare i risultati ottenuti nel mondo sportivo ma più in generale come formazione personale. L’incontro si è soffermato su come inquadrare la persona con queste tecniche, insegnando a comunicare utilizzando la corretta chiave di accesso individuale, diversa da individuo a individuo. L’ultima parte è stata dedicata alla motivazione. Ogni disciplina sportiva ha bisogno di sollecitare emozioni diverse: quelle di tipo adrenalinico, per gli sport estremi, o quelle di maggior controllo emotivo, ad esempio nel tiro dell’arco. Il tutto è inserito nel post covid, un periodo nel quale c’è stato un cambiamento nell’approccio allo sport da parte degli atleti amatoriali e nelle motivazioni dei ragazzi a riprendere le attività sportive.
Di seguito una breve sintesi degli interventi dei relatori.
Mirco Fratta (Presidente di Sportivi per Roma). Il cambiamento che stava iniziando già prima del covid, dovuto alla mancanza di motivazioni da parte dei ragazzi, negli ultimi mesi è accelerato, portando a un picco di abbandono dello sport agonistico da parte dei ragazzi in età scolare. L’idea che un istruttore debba riuscire a trovare dei metodi per motivare i ragazzi e trasferire loro le competenze per formare un atleta di alto livello ci ha spinti a promuovere questo evento, che sarà seguito da un vero e proprio corso di formazione.
0:04:56 – Fabio Conti (Presidente di Gestiamo e coordinatore FIN del settore pallanuoto). Mentre fino a qualche anno fa lo sport viaggiava verso numeri in crescita, recentemente abbiamo assistito a un’inversione di tendenza, con un importante fenomeno di abbandono. Non si può allenare e ricevere i ragazzi nelle strutture sportive come prima, è necessario incrementare la parte giocata, prevedendo punti di aggregazione, per far sì che lo sport venga percepito dai ragazzi come un momento di socialità. Anche la selezione dei ragazzi deve cambiare: in questo momento dobbiamo tener conto di come loro possono vivere l’ambiente sportivo a 360 gradi e non solo come prestazione. Ci siamo accorti che abbiamo avuto delle rinunce a partecipare alle attività della nazionale, cosa che non era mai successa in passato. Questo significa che oggi i ragazzi, avendo ritrovato cose da fare dopo due anni di chiusura, hanno un assoluto bisogno anche di svago e di divertimento.
0:16:20 – Brunaldo Tombellini (educatore comportamentale specializzato nella gestione dell’emotività). Ideatore della metodologia ECB, Emotions Controlled by Bike: la bicicletta è uno strumento che viene utilizzato per insegnare a gestire l’emotività durante l’esecuzione del gesto tecnico, andandola a migliorare. L’ECB ha un percorso che si pone tre obiettivi: consapevolezza, conoscenza e competenza. L’allievo deve rendersi conto dei suoi limiti, studiare le tecniche e imparare ad applicare le tecniche per migliorare il controllo sulle proprie azioni. Questo metodo vale non solo per l’attività sportiva ma, più in generale, per ogni situazione nella quale ci si può trovare nella vita di tutti i giorni. L’operatore sportivo ha un ruolo fondamentale, perché ha un grande potere, potendo affrontare compiti relativi alla dimensione fisica ed alla dimensione emotiva dei ragazzi: occorrono quindi competenze tecnico sportive tanto quanto competenze psico-pedagogiche. Lo sport può formare positivamente una persona dandogli autostima, oppure la può formare negativamente, dandogli frustrazione (e, di conseguenza, portando all’abbandono). Le ferite nell’ambito emotivo sono molto pericolose e devono essere evitate.
0:39:15 – Fausto Maria Bonifacio (psicologo sportivo specializzato nei meccanismi motivazionali). Come facciamo a portare via i ragazzi dai cellulari per riportarli a fare sport? La parola chiave per motivare il prossimo è “futuro”. La dopamina prodotta dai social network, così come dalla nicotina, o dal gioco d’azzardo, o dal cibo spazzatura, spinge la persona a ripetersi, è un tipo di competizione che non aiuta il ragazzo a crescere. I social network sono volutamente addicted: nel pianificare un social network è previsto un grande rilascio di dopamina, perché essa aumenta le probabilità di ripetere quel comportamento (stare sui social). Questo non gioca a favore della volontà umana ma contro di essa. Come si fa quindi a motivare i ragazzi nel fare sport? Gli si deve parlare del futuro, chiedendogli come vogliono vedersi nei prossimi sei mesi, o il prossimo anno. Quando ci si ripete, si vive un’esperienza noiosa e non motivante: occorre dare una prospettiva di crescita e di sviluppo tramite lo sport.
0:56:15 – Alessandro Battisti (Presidente del Comitato provinciale OPES di Roma). OPES è molto legata ai temi trattati, che sono fondamentali per la formazione continua dei tecnici sportivi, e sta organizzando insieme all’Università Unicusano un progetto dedicato alla leadership del tecnico finalizzata all’aumento dell’autostima. Il tecnico che lavora con ragazzi dai 4 ai 13 anni deve insegnare, oltre al gesto tecnico atletico, quelli che sono i sani principi da tenere a mente nella vita, come ad esempio l’aggregazione e l’antibullismo. Organizzeremo dei corsi di formazione su queste tematiche.
1:00:20 – Ivan Sacchi (Vicepresidente di Sportivi per Roma e CT della nazionale nuoto sordi). Ha portato la testimonianza di quello che è successo a partire dallo scoppio della pandemia, ricordando il giorno in cui tutto ha avuto inizio: era presente ad un meeting nazionale di nuoto e aveva degli atleti pronti a partire sui blocchi di partenza, con l’obiettivo di qualificarsi ai campionati italiani. Era l’ultimo giorno disponibile per ottenere il pass e, nel momento di partire, entra la polizia che ferma le gare e manda tutti a casa. Quello è stato l’inizio di una grossa problematica a livello psicologico. Tutti i sacrifici fatti fino a quel giorno sembravano svaniti nel nulla, senza riuscire a vedere oltre, perché “oltre” c’era l’ignoto. Rimotivare i ragazzi a riprendere l’attività e non abbandonarla è stato difficile e, purtroppo, in tanti sono stati portati a fare valutazioni diverse rispetto a quella che era la scelta che speravamo, e cioè proseguire gli allenamenti sportivi. Fortunatamente oggi la situazione è cambiata e ci sono nuove speranze se si guarda al futuro. Il ruolo della famiglia è fondamentale: un allenatore vede i ragazzi per 4 o 5 ore, mentre per le altre 19 ore i ragazzi sono in famiglia.