Dopo l’euro: non si torna indietro verso una vecchia moneta, si va avanti verso una moneta nuova
Chi sostiene l’abolizione dell’euro parla solitamente di ritorno alla lira. Mi sono accorto che, così facendo, si induce molti in errore.
La moneta nazionale dopo l’euro non avrà niente a che fare con la “vecchia lira”. Paradossalmente (ma neanche troppo) per non creare confusione sarebbe più corretto chiamarla pippo piuttosto che lira.
Il passaggio sarà, infatti, un progresso verso uno strumento nuovo e non un regresso verso uno strumento vecchio.
Chi teme il ritorno alla lira ha paura di un nuovo innalzamento incontrollato dei prezzi. In realtà, a differenza del passaggio dalla lira all’euro, il cui tasso di cambio è stato imposto dal mercato comune (1 euro = 1.936,27 lire), nel nuovo passaggio il tasso di cambio potremo stabilirlo unilateralmente.
La distorsione dell’effetto cambio, quindi, si potrà evitare semplicemente, ad esempio stabilendo la parità di cambio tra il “vecchio euro” e il “nuovo pippo” (1 pippo = 1 euro). Se con il vecchio euro, una pizza che costava 5 mila lire è passata erroneamente a costare 5 euro, equivalenti a circa 10 mila lire, con il nuovo pippo una pizza che costa 5 euro passerà giustamente a costare 5 pippo, equivalenti a 5 euro.
Chi teme il ritorno alla lira è tormentato dall’ansia di una svalutazione e un conseguente impoverimento generale. È fantastico, al riguardo, l’articolo uscito sull’Espresso che ipotizza gli scenari futuri dopo l’euro, leggetelo: Prezzi alle stelle. Mutui triplicati. Inflazione senza freni. Dazi e meno soldi in tasca. Se l’Italia dovesse davvero uscire dalla moneta unica gli esperti prevedono uno scenario da incubo! In realtà, l’impossibilità di svalutare è proprio uno dei principali condizioni che rende l’euro uno svantaggio per i paesi che, come l’Italia, hanno tassi di inflazione più alti degli altri (la Germania).
Non è neanche vero il rischio di un impoverimento rispetto all’estero. La ricchezza di una nazione dipende da tante cose ma non certo dall’indipendenza monetaria. In pratica, chi si può permettere le vacanze all’estero con l’euro, se le continuerà a poter permettere anche con il nuovo pippo, così come se le è continuate a permettere chi, con la vecchia lira, ha vissuto la svalutazione del 1992.
Attenzione: così come sbaglia (e, in alcuni casi, mente consapevolmente) chi profetizza la nostra rovina con l’uscita dall’euro, sbaglia chi preannuncia la risoluzione di tutti i mali economici del paese chi sostiene il progresso verso una nuova moneta.
È vero che una moneta unica, di fatto, introduce un vincolo fra i paesi che la adottano. Ed è vero che vincolarsi con altri paesi è una “comodità” che si può permettere solo chi rispetta determinate condizioni, senza le quali il vincolo tende a produrre, nel corso del tempo, degli squilibri a danno di alcuni paesi e a vantaggio di altri.
Le principali condizioni che devono essere rispettate da un’area valutaria ottimale sono: convergenza dei tassi di inflazione, integrazione commerciale, integrazione fiscale, flessibilità di salari e prezzi, mobilità del lavoro e dei capitali.
La maggior parte di queste condizioni non sussistono all’interno dell’eurozona (L’insostenibile peso di un’unione monetaria impossibile): i tassi di inflazione sono molto differenti (più basso in Germania, più alto in Italia), non esiste alcun coordinamento delle politiche fiscali (anzi, al contrario, ci si fa “concorrenza”), la mobilità del lavoro è ridotta a causa di differenze linguistiche e culturali, prezzi e salari sono rigidi verso il basso (in periodi di crisi diminuisce l’occupazione e non il livello salariale medio).
Non è vero, però, che la nuova moneta porterà la piena occupazione, né la possibilità di spendere illimitatamente soldi pubblici, né il pagamento di zero interessi sul debito pubblico. Uno Stato con una propria moneta ma senza un governo politico capace ed onesto resta uno Stato con gli stessi identici problemi.